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COMMENTO ALLA PROPOSTA DI MODIFICA DELL'ARTICOLO 18 DELLO STATUTO DEI LAVORATORI (5/4/2012)

La storia dell'articolo 18 inizia nel 1970 quando viene legiferata tutta la normativa a tutela dei lavoratori.
In tutta la sua complessità, questo articolo vuole regolare le possibilità di licenziamento, per le sole aziende con un numero di dipendenti superiore a 15, attraverso i concetti di giusta causa, giustificato motivo soggettivo e giustificato motivo oggettivo.
Comprendere in poche parole i suddetti concetti non è una cosa semplice, ma per avere una minima idea potremmo parlare di comportamento talmente grave da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto per giusta causa, comportamento meno grave ma comunque volto a condizionare il rapporto per giustificato motivo soggettivo e di crisi aziendale per giustificato motivo oggettivo.
Ad ogni lavoratore, di conseguenza, viene riconosciuta la possibilità di impugnare il licenziamento qualora fosse ritenuta inesistente una delle motivazioni citate.
Nel caso in cui un lavoratore dovesse impugnare il licenziamento la decisione definitiva spetterebbe al solo giudice con due possibilità:
-        riconoscere la presenza di una delle tre cause giustificative e confermare il licenziamento
-        accertare l'insussistenza di una delle tre cause giustificative e, dichiarando il licenziamento illegittimo, reintegrare immediatamente il lavoratore riconoscendogli anche un risarcimento del danno.
Resta salva, in ogni caso, esclusivamente per il lavoratore la facoltà di richiedere che gli venga corrisposta un'indennità a fronte della rinuncia al reintegro. Il Giudice, oggi, nulla può decidere sul punto!
Il governo Monti ha deciso di modificare l'articolo 18 poiché elemento sostanziale da cui partire per una nuova riforma del lavoro.
Vediamo, in via pratica e sintetica,  in che modo verrà cambiato l'articolo 18, e cosa realmente si modificherà nel mondo del lavoro delle imprese.
Innanzitutto la nuova norma tratterà solo il settore privato e non l'impiego pubblico e nulla cambierà in ordine ai motivi per i quali un datore di lavoro può licenziare i propri dipendenti (dovrà comunque sussistere la giusta causa oppure il giustificato motivo). Ciò che verrà modificato con l'attuale riforma è da riscontrarsi nell'incremento delle possibilità decisorie del Giudice (non sempre fatto tranquillizzante, ma in questo caso probabilmente positivo per le imprese).
Invero, viene aggiunta la possibilità, prima negata, per il Giudice di stabilire, in alcuni casi, la corresponsione di un equo indennizzo.
Tale possibilità viene però riconosciuta solo in determinati casi e per questo deve distinguersi tra licenziamento discriminatorio, disciplinare e per motivi economici.
- Il licenziamento discriminatorio, ovvero se oggetto di motivazioni religiose, sessuali, politiche, se intimato in concomitanza del matrimonio o della gravidanza o se determinato da motivo illecito, viene considerato sempre nullo, qualsiasi siano le dimensioni dell'azienda, e comporta l'immediato reintegro nonché il risarcimento del danno.
- I licenziamenti disciplinari sono consentiti per giusta causa (comportamento talmente grave da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto) e giustificato motivo soggettivo (comportamento meno grave ma comunque volto a condizionare il rapporto). La mancanza delle motivazioni  determina la condanna del datore di lavoro a un indennizzo tra le 12 e le 24 mensilità. Il reintegro resta se il fatto contestato non è per nulla stato commesso o se il caso è espressamente previsto dal contratto collettivo.
- Infine, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per motivi economici si ha in caso di crisi aziendale, cessazione delle attività, cancellazione delle mansioni del lavoratore. L'insussistenza del giustificato motivo oggettivo, se manifestamente palese (valutazione, ahinoi, comunque lasciata alla discrezionalità del Giudice) comporterà l’immediato reintegro. Altrimenti il Giudicante, con la riforma potrà determinare solo il pagamento da parte del datore di lavoro di un'indennità tra le 12 e le 24 mensilità. Prima del licenziamento viene prevista una procedura obbligatoria di conciliazione in cui il lavoratore viene assistito dai sindacati. Se la conciliazione produce la risoluzione consensuale del rapporto, il lavoratore viene aiutato nel ricollocamento, altrimenti, si andrà davanti al Giudice con le conseguenze sopra dette.
Allo stato attuale il disegno di legge trasformerà in regola ciò che prima era eccezione e viceversa. Invero, il reintegro diverrebbe adottabile solo in casi eccezionali mentre la corresponsione dell'indennizzo sarebbe la scelta primaria….ma tale decisione spetterà esclusivamente al parere discrezionale del Giudice
 
Deve evidenziarsi che diverse sono state le modifiche apportate al disegno di legge dalla sua prima stesura a quella definitiva.
Le contrapposizioni e le insistenze dei Sindacati hanno certamente influenzato la formulazione finale del testo di legge.
Le ultime novità apportate, simbolo di una pseudo vittoria delle parti sociali, ineriscono il “ritorno” del reintegro anche nel caso di licenziamento per motivi economici, facendo rivivere, a parere di chi scrive, lo spauracchio dei datori di lavoro nel licenziare i propri dipendenti in caso di crisi.
Infatti, se con la formulazione provvisoria di due settimane fa, veniva meno per le aziende il grave deterrente del reintegro (con conseguente risarcimento del danno) che le placava nel licenziare i propri dipendenti (l’unico rischio in caso di licenziamento illegittimo sarebbe stata la corresponsione di un’indennità), l’attuale disegno di legge lascia la possibilità al Giudice, in caso di insussistenza dei motivi economici posti alla base del licenziamento, di scegliere tra l’indennizzo ed il reintegro.
Ecco il problema e l’aspetto criticabile di tale nuovo sistema: si lascia ancora troppa  discrezionalità al Giudice nel valutare l’opportunità di disporre il reintegro ovvero la corresponsione di un’indennità nel caso di licenziamenti per motivi economici. Ai fini pratici, quindi poco verrà a  cambiare per le imprese le quali  continueranno a trovarsi in una difficile condizione di incertezza, almeno finché non si avranno le prime decisioni, e si capirà l’orientamento della Giurisprudenza. Ma in ogni caso potrà sempre prevalere l’opinione del singolo magistrato!
Ulteriore aspetto criticabile si ravvisa inoltre nell’obbligo per le parti, sempre e solo per i licenziamenti per motivi economici,  ad esperire preventivamente un  tentativo  di conciliazione, che come noto allungherà solo i tempi di definizioni delle vertenze, che al contrario dovrebbero essere caratterizzate da assoluta celerità.
In conclusione, se la nuova formulazione dell’art. 18 incrementerà o meno le vertenze giuslavoristiche si scoprirà solo nei mesi successivi alla approvazione della legge da parte del Parlamento, ad oggi ciò che è certo è che, vista quest’ultima formulazione, le continue opposizioni dei sindacati si basano solo sulla difesa di un simbolo, di un’ideologia, di un baluardo per i lavoratori!
Avv. Alessia Tosi

 
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